Durante l’evento sono stati presentati i risultati della ricerca sociologica che l’Istituto, assieme ai gestori vicentini del sistema idrico integrato Medio Chiampo, Acque del Chiampo, Viacqua ed Etra, ha condotto su questo tema.
La ricerca, confluita in un volume curato dal direttore dell’Istituto mons. Giuseppe Dal Ferro, si è svolta tra aprile e maggio 2019 e ha visto la somministrazione di 4.500 questionari ai giovani delle scuole superiori e agli adulti sopra i 65 anni frequentanti le università adulti/anziani.
I risultati hanno evidenziato una generale consapevolezza dell’importanza dell’acqua come bene vitale per l’uomo e per le sue attività, tuttavia circa il 30% degli adulti e il 14% dei giovani non hanno la percezione che si tratti di un bene limitato. Significative sono anche le percentuali piuttosto alte di “non so” relativamente all’organizzazione del sistema idrico e alla qualità dell’acqua del rubinetto, a riprova dell’importanza e della necessità di una più larga informazione, non solo per chiarire i dubbi ma anche per accrescere la responsabilità individuale.
E proprio per approfondire la tematica della qualità dell’acqua, dei problemi attuali e futuri dell’acqua nel vicentino, durante il simposio è stato affidato un intervento al dott. Lorenzo Altissimo, vicepresidente di Medio Chiampo e accademico olimpico.
Il contributo del dott. Altissimo, per oltre 20 anni direttore del Centro Idrico di Novoledo e uno dei principali esperti del settore, ha toccato diversi aspetti che hanno permesso di inquadrare la situazione in atto e gli sviluppi futuri.
Parlando in generale del Vicentino, qual è lo stato di salute del sistema acqua?
“La nostra generazione ha ereditato dei sistemi acquiferi generosamente ricchi di acque di ottima qualità e. purtroppo, li sta consegnando alle generazioni future con due ordini di problemi: quantitativi e qualitativi. Da una parte stiamo assistendo a una tendenza generale all’abbassamento delle falde e all’impoverimento dei serbatoi sotterranei, dall’altra ci troviamo a dover affrontare casi di inquinamento delle falde da composti chimici”.
Cominciamo dai problemi di ordine quantitativo.
“Immaginiamo che le falde siano un paziente, le cause del suo stato di sofferenza vanno ricercate nella diminuzione delle piogge, nel maggior consumo di suolo che vuol dire maggiori volumi di acqua che defluiscono a valle senza infiltrarsi, nel maggior prelievo di acqua. A questo proposito, se prediamo come riferimento il sistema acquedottistico Padova-Vicenza, basti pensare che dal secondo dopoguerra abbiamo assistito a un raddoppio dei prelievi, benché la popolazione sia cresciuta solo del 15%”.
A cosa dobbiamo attribuire un aumento così consistente dei prelievi d’acqua?
L’aumento dei prelievi d’acqua è indice di uno stato di benessere e di sviluppo economico, non dobbiamo infatti dimenticare che ad influire ci sono in larga parte i consumi industriali. Ciò nonostante è fondamentale fare delle riflessioni sull’uso consapevole di una risorsa così preziosa. Il fabbisogno minimo vitale è calcolato intorno ai 50 litri, ma ci sono aree della terra in cui gli abitanti hanno a disposizione pro capite solo 10 litri al giorno: oggi alcuni paesi europei si attestano sui 70 litri, in Italia il consumo pro capite giornaliero è di 250 litri. Anche se nel nostro paese abbiamo ancora una grande disponibilità idrica, non possiamo non pensare al futuro, soprattutto se consideriamo gli effetti dei cambiamenti climatici: piogge intense che non favoriscono la ricarica delle falde, precipitazioni invernali in diminuzione, temperature che si alzano e minori accumuli nevosi in quota. Per affrontare il problema quantitativo, certi paesi del nord europea stanno già ricorrendo a una depurazione molto spinta dell’acqua per il suo riutilizzo nell’agricoltura.
C’è da considerare anche la questione delle perdite dalle reti.
Sicuramente. La maggior parte delle reti acquedottistiche in Italia hanno circa 50/60 anni, che è la durata media di questi impianti. Riqualificare le reti è un onere importante per i gestori delle reti, senza contare il disagio provocato dai cantieri aperti ma è una necessità. Anche Medio Chiampo sta mettendo in atto diversi interventi in questo senso.
Per quanto riguarda invece i problemi qualitativi?
L’attualità riguarda la contaminazione delle acque sotterranee da PFAS, ma abbiamo avuto altri casi storici di inquinamento delle falde. Pensiamo al caso di inquinamento da benzotrifluoruri che alla fine degli anni 70 ha coinvolto l’acquedotto di Sovizzo. L’acqua prelevata da alcuni pozzi si presentava di colore giallo e aveva un forte odore aromatico che ricordava la naftalina: per far fronte al problema nel giro di 5 mesi fu creata una connessione di 10Km con l’acquedotto di Vicenza. Ma possiamo ricordare anche l’inquinamento da solventi clorurati che negli anni 80 interessò l’alto vicentino e a cui si fece fronte con impianti a carboni attivi.
Quello che dobbiamo considerare è che inquinare una falda acquifera significa una perdita di patrimonio idrico per decenni, perché, in alcuni casi, sono necessari decenni per ricambiare completamente l’acqua di una falda inquinata. E il problema qualitativo diventa quindi anche quantitativo…
Le direttive oggi puntano anche e soprattutto sulla prevenzione.
Certamente. I Piani di sicurezza delle acque prescrivono la perimetrazione delle cosiddette aree di salvaguardia, ovvero delle aree dove transita l’acqua che viene richiamata dai pozzi. Ciò comporta un complesso studio idrogeologico a cui si aggiunge la mappatura delle attività industriali vicine ai punti di captazione, delle sostanze utilizzate nei loro processi produttivi e delle aree di stoccaggio, il tutto per individuare eventuali centri di pericolo e rischi potenziali. Inoltre, per aumentare il livello di sicurezza, i Piani di sicurezza prevedono anche le interconnessioni con altre strutture acquedottistiche in modo da far arrivare l’acqua da altre fonti in caso di inquinamento.
Come trattamento nei casi di inquinamento lei ha parlato di sistemi di filtrazione a carboni attivi, sistema che abbiamo visto utilizzato anche per i PFAS.
Il carbone attivato, vale a dire portato a una temperatura di 600 °C, ha la proprietà di legare a sé le sostanze organiche. Basti pensare che un solo grammo di carbone ha una superficie attiva, in grado cioè di legare a sé le molecole di sostanze organiche, grande come un campo da calcio.
Fortunatamente il problema PFAS ha solo lambito il territorio di Montebello Vicentino, Zermeghedo e Gambellara. Il sistema di filtraggio che Medio Chiampo ha previsto per i tre comuni e che è già stato installato a Zermeghedo non nasce da una criticità, ma serve a tutelare le acque potabili da tutti gli eventuali inquinanti, sia PFAS che altri parametri attualmente non considerati.